mercoledì 12 gennaio 2011
La Dea Bianca di Robert Graves
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Questo libro rimarrà fra le opere più ardite, più alte e più felici sul mito nel nostro secolo. Robert Graves, poeta, romanziere e mitografo immensamente dotto, capì presto che nelle storie mitiche si celavano e ci sfidavano molti segreti. E questo da sempre, perché l'enigma sta nel cuore del mito. Così cominciò ad affrontarne alcuni dei più intrattabili, anche perché appartenenti alla tradizione celtica, senza dubbio la più fedele alla trasmissione orale del sapere. E a poco a poco si delineò nelle sue ricerche la visione di ciò che è il fondo delle grandi mitologie europee, dalla Britannia a Creta: un fondo dove si espande la luce lunare della Dea Bianca, velando quella degli altri dèi. Non era solo una dea, che Graves andava scoprendo, ma l'immagine primordiale della Musa, quindi un intero linguaggio, che fu inciso su pietre e celebrato in riti prima di affidarsi al suo ultimo vascello: la poesia. Chi fosse e quanti nomi avesse tale multiforme Dea Bianca lo scoprirà il lettore, con l'emozione di chi vive un'avventura, mentre procederà nella selva fascinosa di questo libro, dove a ogni passo si incontrano indovinelli - e talvolta si riesce anche a conquistare la giusta risposta. Come per esempio nei casi seguenti: "Chi rese fesso il piede del Diavolo? "Quando giunsero in Britannia le cinquanta Danaidi con i loro vagli? "Quale segreto era intrecciato nel nodo gordiano?
"Perché Jahvèh creò gli alberi e le erbe prima del sole, della luna e delle stelle? "Dove si troverà la saggezza?". Questo libro leggendario, ma più nominato che conosciuto, è non solo l'opera maggiore di Graves ma una vera. grammatica del mito, che insegna agli ingenui moderni ad articolare una lingua sempre viva.
Robert Graves pubblicò La Dea Bianca per la prima volta nel 1946; una nuova edizione riveduta e ampliata apparve nel 1961:
su di essa è condotta la presente traduzione.
"La mia tesi è che il linguaggio del mito poetico anticamente usato nel Mediterraneo e nell'Europa settentrionale fosse una lingua magica in stretta relazione con cerimonie religiose in onore della dea-Luna ovvero della Musa, alcune delle quali risalenti all'età paleolitica; e che esso resta a tutt'oggi la lingua della vera poesia - "vera" nel senso nostalgico moderno di "originale non suscettibile di miglioramento, e non un surrogato". Questa lingua fu manomessa verso la fine dell'epoca minoica, allorché invasori provenienti dall'Asia centrale cominciarono a sostituire alle istituzioni matrilineari quelle patrilineari, rimodellando o falsificando i miti per giustificare i mutamenti della società. Poi giunsero i primi filosofi greci, fortemente ostili alla poesia magica, nella quale ravvisavano una minaccia per la nuova religione della logica. Sotto la loro influenza venne elaborato un linguaggio poetico razionale (oggi chiamato classico), in onore del loro patrono Apollo, linguaggio che fu imposto al mondo come il non plus ultra dell'illuminazione spirituale. Da allora in poi questa visione ha dominato praticamente incontrastata nelle scuole e nelle università europee, dove i miti sono oggi studiati solo come curiosi relitti dell'infanzia dell'umanità".
Prefazione / Introduzione
Sin dall'età di quindici anni sono stato dominato dalla passione per la poesia e non ho mai scelto attività o stabilito relazioni che mi sembrassero incompatibili con i suoi princìpi, anche se ciò mi ha talora guadagnato la fama di eccentrico. La prosa, che mi ha garantito il pane quotidiano, mi è servita come strumento per affinare la mia percezione della natura totalmente diversa della poesia, e i temi che scelgo sono sempre legati dentro di me a problemi poetici di grande rilievo. All'età di sessantacinque anni, trovo ancora divertente il paradosso dell'ostinato perdurare della poesia in questa nostra fase di civiltà. Benché riconosciuta come professione dotta, la poesia è l'unica alla quale non ci si prepari in appositi istituti di istruzione e che non possa invocare alcun metro di giudizio, anche rozzo, come misura dell'abilità tecnica. " Poeti si nasce, non si diventa ". Dal che si dovrebbe concludere che la natura della poesia è troppo misteriosa per ammettere un'analisi: più misteriosa ancora della regalità, dal momento che re si può anche diventare, e i detti di un re defunto hanno poco peso sul pulpito o al bar.
Alle origini di tale paradosso stanno da una parte il grande prestigio ufficiale che tutto sommato accompagna ancora il titolo di poeta, così come quello di re, e dall'altra la sensazione che la poesia, in quanto resistente all'analisi scientifica, abbia le sue radici nella magia, che è cosa sentita come disdicevole. È vero: il patrimonio tradizionale della poesia europea è radicato in ultima analisi su princìpi magici i cui fondamenti costituirono per secoli un segreto religioso gelosamente custodito, ma che alla lunga si confusero, persero prestigio e infine caddero nell'oblio. Oggigiorno solo in rari casi di regresso spirituale un poeta riesce a dare ai propri versi un potere magico nel senso antico del termine. Per il resto, l'attività del poetare ricorda quella dell'alchimista medioevale, con i suoi fantasiosi e fallimentari esperimenti di trasmutazione dei metalli vili in oro; con la differenza che l'alchimista perlomeno sapeva riconoscere alla vista e al tatto l'oro puro. La verità è che l'oro lo si può ricavare solo dal minerale d'oro, così come solo la poesia da poesie. L'intento di questo libro è di riscoprire quei fondamenti perduti e illustrare i princìpi attivi della magia poetica che li sottendono.
La mia tesi si fonderà sull'analisi di due straordinarie poesie gallesi del XIII secolo scritte da menestrelli, nelle quali sono ingegnosamente nascoste le tracce dell'antico segre
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